Nei
mari di Trapani vengono calate le ultime tonnare
siciliane, da secoli le più famose e produttive
dell’intero Mediterraneo. E’ qui che in primavera si
compie l’antico rito della "mattanza", la
pesca del tonno secondo metodi tradizionali ricchi di
cultura e storia, un insieme di mito e religione, di
leggenda e scienza. Oggi lungo le coste trapanesi che
vanno da Alcamo a Mazara del Vallo sono operanti le
tonnare di Favignana e quella di San Giuliano/Bonagia;
negli anni ’50 erano ben dodici gli impianti attivi, ma
l’inquinamento e il progressivo depauperamento della
fauna ittica hanno comportato la chiusura di quasi tutte
le strutture, e gli antichi stabilimenti dove venivano
conservati gli attrezzi di pesca e lavorato il tonno
cadono a pezzi, struggenti esempi di archeologia
industriale offesi dal tempo e dimenticati dagli uomini.
La tonnara è un sistema di reti fisse calate lungo il
percorso che i tonni compiono dall’inizio della
primavera alla fine dell’estate alla ricerca di acque
calde e dall’alto grado di salinità dove effettuare la
riproduzione; tonnare "di corsa" o "di
andata" sono quelle che catturano i tonni nel periodo
della riproduzione (maggio - giugno), "di
ritorno" quelle che catturano gli esemplari al
termine del periodo genetico (luglio - agosto). Sia
Favignana che Bonagia sono tonnare "di corsa".
Una lunga rete chiamata "pedale" posizionata
verticalmente rispetto alla costa sbarra il cammino ai
tonni e li indirizza verso il largo, dove viene calata la
tonnara vera e propria (detta "isola"): un
parallelepipedo di rete diviso da porte mobili -
anch’esse di rete - in più "camere". I tonni
che arrivano nell’isola vengono fatti passare da una
"camera" all’altra aprendo e chiudendo le
porte di rete, fino all’ultima camera, detta "della
morte", l’unica ad avere il fondo mobile. I
pescatori "tonnaroti" tirano a forza di braccia
la rete mobile intonando antichissimi canti, e quando i
tonni arrivano a galla inizia la mattanza: dai barconi
neri gli uomini li agganciano con lunghi uncini e li
tirano a bordo con sforzi immani (alcuni pesci pesano
oltre 400 chilogrammi). Tutte le operazioni di pesca sono
guidate dal "rais", il tonnaroto più esperto,
depositario di conoscenze tramandate oralmente di
generazione in generazione.
La mattanza è uno spettacolo straordinario, nel quale
l’uccisione di enormi pesci non è una violenza gratuita
- come la corrida - ma risponde a precise esigenze sociali
ed economiche: da una buona stagione di pesca, oggi come
ieri, dipendono le sorti di centinaia di famiglie
(imprenditori, pescatori, rigattieri, ristoratori e anche
albergatori per il richiamo che la tonnara esercita sui
turisti e sugli studiosi di etno antropologia).
La tonnara italiana più antica ancora in attività è
quella di San Giuliano/Bonagia (i primi atti ufficiali
risalgono al 1200), dove è possibile assistere alle
operazioni di pesca in un contesto non trasfigurato dalle
presenze turistiche: qui la mattanza è del tutto identica
a quella dei secoli trascorsi, e il tempo sembra essersi
fermato sui volti scavati dal sole dei tonnaroti e sulle
note delle "cialome", i canti che accompagnano
il duro lavoro degli uomini.
La pesca del tonno con le reti ha origini antichissime (ne
parla anche Omero nell’Odissea); tonnare operavano
praticamente in tutte le coste italiane, dalla Liguria a
Trieste (alla fine del XIX secolo erano poco più di
cento). Oggi oltre quelle siciliane (quest’anno riprende
l’attività anche la storica tonnara "di
ritorno" a Capo Passero nel siracusano) un paio di
tonnare vengono calate sulla costa occidentale della
Sardegna.
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